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PSICOLOGO PER DIPENDENZE DA DROGHE

La Dott.ssa Laura Canis, Psicologa e Psicoterapeuta, effettua terapie di sostegno per aiutare ragazzi e famiglie a superare le loro difficoltà. Riceve a Torino, Moncalieri e Online su Skype.

Dopo il primo contatto gratuito, che solitamente avviene via EMAIL o tramite il MODULO DI CONTATTO, tento di offrire una indicazione di massima circa la possibilita' di aiutarvi a risolvere la difficoltà presentata.

Le problematiche affrontate durante una terapia di sostegno legata all'uso di droga, sono estremamente variabili e legate alla soggettivita' di ciascuno di noi. Non e' quindi possibile, a priori, stabilire con certezza come la terapia di sostegno proseguira'. Qualora infatti il terapeuta dovesse rendersi conto che le difficolta' dipendono da una difficolta' non elaborata del soggetto interessato, la terapia sarà una terapia individuale. Qualora le difficolta' fossero di natura famigliare, quindi legate alle relazioni tra i vari membri, la terapia potrebbe trasformarsi in terapia famigliare.

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Tossicodipendenza: "cattivi ragazzi" o malattia sociale?

La tossicodipendenza viene definita dall'Organizzazione Mondiale della Sanita' (OMS) come una "condizione psichica e talvolta anche fisica, derivante dall'interazione tra un organismo vivente e una sostanza tossica, e caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni, che comprendono sempre un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere derivante dalla sua privazione". Le conseguenze negative che ne derivano si ripercuotono sull'intero funzionamento individuale, provocando una condizione di sofferenza che si estende al contesto di appartenenza del soggetto. In particolare la tossicodipendenza genera conseguenze su diversi piani:

comportamentale
neurofisiologico
relazionale
cognitivo
emotivo.

Pur trattandosi di un fenomeno in larga espansione, quello della tossicodipendenza continua ad essere un argomento sconosciuto, attorno al quale circolano idee errate basate prevalentemente su luoghi comuni. A partire dal lavoro condotto dal Dipartimento delle Politiche Sociali Antidroga intitolato "Principi generali della posizione italiana contro l'uso di droghe" si evince che la tossicodipendenza viene innanzitutto definita, cosi' come dall'Organizzazione Mondiale della Sanita', una malattia. In particolare si afferma che la tossicodipendenza rappresenta una malattia del cervello, complessa e fortemente invalidante, correlata a disturbi comportamentali, rischi infettivi e psichici, e con gravi conseguenze sia sociali che per l’individuo. Proseguendo nella lettura di questo lavoro, si evince che essa rappresenta la conseguenza di un iniziale comportamento volontario di assunzione di droghe che mette a rischio la salute della persona, in quanto presenta un andamento spesso cronico e recidivante. Ma cosa e' che spinge cosi' tante persone, tendenzialmente giovani, ad iniziare l'uso di queste droghe, pur sapendo che si tratta di un comportamento non socialmente accettato e che potrebbe avere conseguenze disastrose sul proprio fisico? In base a lavori di ricerca fatti a diretto contatto coi ragazzi, si evince che le cause annoverate sono:

- scarsa conoscenza delle CONSEGUENZE

- NOIA

- necessita' di SENTIRSI PARTE DEL GRUPPO DEI PARI (e quindi, laddove il gruppo faccia uso di droghe, per poterne fare parte, i suoi componenti devono "adeguarsi")

- necessita' di affrontare PROBLEMI PERSONALI (di cui si teme di parlare con gli adulti, spesso per mancanza di abitudine nel farlo).

Ma cos'e' che, in tutti questi casi, fa si' che la "soluzione" scelta ricada sull'uso delle droghe?

La mia risposta e' semplicissima. La sua disponibilita'. Per molti questa risposta apparira' riduttiva. Ma sono pronta a contestualizzare. In base alla mia esperienza, che spazia dai progetti di prevenzione o focus group all'interno delle scuole o presso comunita' terapeutiche, ho potuto rilevare che le persone che si avvicinano al mondo delle droghe si dividono in due categorie principali.

1. coloro che lo fanno per noia
2. coloro che vi si imbattono "per necessità".

Ma cio' che fa intravedere la possibilita' di utilizzare le droghe come possibile "soluzione" ai propri problemi, e' la sua DISPONIBILITA'. Sapere dove trovarla e, (elemento fondamentale all'inizio, per la questione dell'aggregazione al gruppo), sapere con chi consumarla, all'inizio sono elementi imprescindibili.

Chi sono gli utilizzatori delle droghe?

Mi è spesso capitato di parlare con alcuni genitori i quali si domandano, spesso con fare accusatorio, "Come mai mia figlia non si fa le canne e la figlia di quella si?". Tra gli elementi che influiscono nel determinare la differenza vanno annoverate probabilmente le diverse risorse di coping e senso di self-efficacy dei membri che SCELGONO di non utilizzare droghe, rispetto a coloro che scelgono di utilizzarle. Non trascurabili diventano anche lo stile di comunicazione famigliare, la disponibilita' dei genitori nel comunicare coi figli e la compattezza della coppia genitoriale nel sostenere i figli durante le difficolta'.
La concomitanza di questi elementi e' cio' che generalmente determina e crea la differenza di scelta tra due persone, entrambe poste di fronte alla possibilita' di "provare". Ma c'è di piu'. Assolutamente non trascurabile e' il fatto che, nel caso fortunato che un ragazzo (o, naturalmente, una ragazza) non si sia mai fatto uno spinello (solitamente si inizia cosi'), e' statisticamente provato che nella maggioranza dei casi e' perche' ha avuto la fortuna di non far parte di compagnie dove giravano le droghe. Solitamente, infatti, non si tratta di ragazzi con, alle spalle, famiglie peggiori delle altre. I giovani consumatori, ci dicono le statistiche, appartengono prevalentemente a scuole (in particolare licei) frequentati da quella che viene definita "gente bene". Il "neo", l'idea che io personalmente mi sono fatta, e' che probabilmente questi ragazzi apparteneneti a contesti benestanti, abituati ad aver tutto senza faticare, si trovano a sperimentare maggiormente cio' che solitamente i figli degli strati sociali meno abbienti, con minori possibilita' economiche, sperimentano: la noia. Quando questa si unisce alla disponibilita' di denaro (che solitamente questi ragazzi hanno - vedi le "paghette premio" del fine settimana), ecco che si crea il cocktail perfetto.

QUINDI FACCIAMO DI TUTTA L'ERBA UN FASCIO?

Naturalmente sarebbe riduttivo e fuori d'ogni logica affermare che solo i ragazzi appartenenti ai ceti piu' alti utilizzino le droghe. Cosi' come sarebbe riduttivo affermare che tutte le droghe siano uguali tra loro, per effetti e gravita' delle conseguenze.
Sebbene la letteratura tenda a concentrarsi piu' su altri contenuti, trascurando la correlazione tra droghe ed emozioni, diverse ricerche hanno contribuito invece proprio a dimostrare come molto spesso, alla base della scelta di utilizzare una qualche sostanza, vi sia proprio la necessita' di una regolazione emotiva, che il soggetto non sa evidentemente come raggiungere in altro modo, vuoi perche' il suo contesto sociale non e' disponibile, vuoi perche' lui stesso, per vicissitudini personali non si sente nella condizione di chiedere o accettare un aiuto.

Uso di droghe come meccanismo di regolazione emozionale

La letteratura disponibile tende quasi sempre a definire le dipendenze da droghe sulla base di criteri comportamentali, mentre si evitano i riferimenti al perche' le persone decidano di ricorrere al loro utilizzo. Nonostante la letteratura tenda, dunque, a evitare riferimenti a questi aspetti, esistono tuttavia numerose ricerche volte proprio a dimostrare come quasi tutte le sensazioni negative (dalla semplice noia, a sintomi come l'ansia) possono essere associate all'uso ed all'abuso di una qualche sostanza psicotropa.
Qui di seguito, la presentzione dei principali risultati:

- nel 1984 Sanchez-Craig con la loro ricerca dimostrano che, su 297 episodi di uso di alcol, l’80% ne faceva uso con la finalita' di gestire ESPERIENZE SOGGETTIVE E STATI EMOTIVI NEGATIVI;

- nel 1987 Mirin e collaboratori rendono noto che l'associazione tra DISTURBI D'ANSIA E DISTURBI DELL'UMORE e l'uso di droghe, hanno proprio lo scopo di ridurre sensazioni indesiderate o abbassare il livello di attivazione

- nel 1995 Polusny e Follette preentano un altro importante dato: esiste una elevata incidenza dell’abuso di droghe tra chi è VITTIMA DI EPISODI E/O ESPERIENZE TRAUMATICHE (es. abusi sessuali)

- nel 1886 Conners e collaboratori ufficializzano che il ricorso all'uso di droghe rappresenta una strategia palliativa molto efficace, anche se a breve termine, al fine di determinare un cambiamento nell’esperienza percepita. Il gruppo di studiosi afferma inoltre che chi ricorre all'abuso mostra maggiore fiducioso negli effetti "d'aiuto" delle droghe rispetto a chi non le utilizza. Nell’alcolismo, ad esempio, gli utenti che dichiarano di assumere alcol, riferiscono (nella fase iniziale del consumo) un aumento delle sensazioni di piacere e una riduzione delle sensazioni legate allo STRESS

- nel 2004 Gratz e Roemer introducono il concetto di utilizzo di droghe come strategia di coping disfunzionale. Concepire l'abuso di droghe come una strategia di coping maladattiva introduce l'esistenza di un evitamento esperienziale in soggetti che soffrono di questo disturbo: il comportamento impulsivo avrebbe in questo modo l’obiettivo di alterare uno stato emotivo negativo attraverso una strategia di evitamento di esperienze emotive indesiderate (per es. Brown, Comtois, Linehan, 2002; Wagner e Linehan, 1999)

- nel 1993 Kruedelbach ci parla di una correlazione tra patologia ed abuso di droghe, in particolare ci dice che i soggetti con diagnosi di disturbo borderline di personalità ed associata la condotta di abuso di droghe risulterebbero più impulsivi ed avrebbero una maggiore probabilità di utilizzare strategie di fuga/evitamento rispetto ai borderline non abusatori. In alti termini anche quando la persona che abusa di droghe non comincia con il fine di un evitamento esperienziale, gli effetti dell’eccesivo utilizzo – che contemplano anche stati di umore disforico e astinenza –concorrono nel mantenimento del circolo vizioso della dipendenza (Sher, 1987).

Riassumendo, parrebbe quindi, come ci conferma la teoria di Khantzian (1985), definita "Self-medication Hypothesis" che la presenza di stati affettivi negativi predispone all’utilizzo di droghe e che la scelta fra le stesse non è casuale. A rinforzarne l’utilizzo sarebbero, poi, gli effetti che la sostanza genera, che in qualche modo migliorano gli stati pre-esistenti nell’assuntore. L’autore suggerisce che individui con alti livelli di aggressività e rabbia sarebbero più predisposti all’utilizzo di oppiacei o alcol per la regolazione emotiva, mentre il ricorso a cocaina e amfetamine risulterebbe più probabile in chi "reagisce" a stati depressivi (Sarnu-Maderno, 2007). Chiaramente, un comportamento di questo tipo conduce ad un inevitabile circolo vizioso legato agli effetti astinenziali della sostanza.

Insomma...ma queste droghe chi le usa?

I giornali ed i telegiornali dei nostri tempi parlano spesso di frequenti sequestri di quintali di droga destinati allo spaccio nelle citta' italiane. E' dunque facilmente intuibile come questa purtroppo sia una prassi piu' frequente di quanto immaginiamo. Ma chi sono dunque questi utilizzatori? Gli utilizzatori di droghe si distinguono principalmente in cinque categorie.
Da un lato i giovani, che per noia decidono di provare gli effetti delle droghe con la finalità di trascorrere qualche ora impegnati in attività ricreative "diverse", proprio a voler dimostrare come la noia delle solite cose, rappresenti un trampolino di lancio verso l'utilizzo delle droghe psicoattive.
Molto piu' diffusa di quanto non si creda e' anche quella categoria di persone, spesso professionisti molto impegnati o studenti universitari, che necessitano di "energia" per sostenere i carichi di studio o di lavoro.
Altra caratteristica che accomuna spesso gli utilizzatori di droghe e' una esagerata sensibilita' emotiva, per i quali l'utilizzo di droghe rappresenta una sorta di anestesia per fronteggiare il disagio che percepiscono nel vivere in una societa' fondata su valori in cui non si riconoscono, e dove quindi stentano a trovare un proprio "spazio".
La quarta categoria di utenti e' rappresentata da persone, spesso accompagnata da sintomi depressivi, che non sapendo a chi appoggiarsi per affrontare i propri problemi, trovano rifugio nell'anestesia momentanea fornita dalle droghe. Esiste, infine, una categoria di persone che utilizza le droghe come farmaci anestetici per patologie organiche avanzate o gravi.

Ma, nonostante le varie casistiche che portano poi giovani e adulti ad avvicinarsi alle droghe, il tratto che accomuna tutti questi utenti e' il fatto di aver vissuto la loro "disponibilita'", avendo avuto modo di "conoscerle", magari durante una di quelle apparenti innocue festicciole scolastiche tra ragazzi definite segretamente da qualcuno "ponte droga".

Quale dunque la soluzione?

La migliore "soluzione" in cui personalmente ho iniziato a credere e' la PREVENZIONE. Prevenzione durante la quale diventa centrale passare ai giovani la consapevolezza del danno che l'utilizzo delle droghe puo' comportare, non soltanto a lungo termine, ma anche a breve! Perche' spesso cio' che accade e' che i giovani entrano in un circolo vizioso: ne fanno uso una volta, magari perche' offerta loro, non gli capita nulla di grave, ed iniziano ad elaborare la falsa credenza che l'idea che la droga faccia male sia solo una "bufala", e che comunque su di loro non genera alcun effetto nefasto dunque ne rifanno uso, probabilmente sempre in compagnia, per "divertirsi", poi ancora una volta, poi ancora un'altra, fino a che si sviluppa la dipendenza vera e propria, perche' non dimentichiamoci che alla base della dipendenza c'e' la chimica, una chimica che fa si che dall'uso una tantum si passi al craving, alla tollerenza, alla sindrome di astinenza. Il ruolo della famiglia. E' naturalmente innegabile il ruolo fondamentale dei genitori, ma, come a partire da qualche decennio ci insegna infatti la teoria ecologica dei sistemi, attribuire l'esito dell'evoluzione di un figlio esclusivamente all'operato dei genitori, sarebbe una spiegazione riduzionistica. Non va infatti trascurato il CONTESTO AMBIENTALE ESTERNO ALLA FAMIGLIA, che via via, col passare degli anni e l'arrivo dell'adolescenza, tendera' a sostuirsi a quello famigliare. Molto spesso l'ambiente in cui si decide di inserire un figlio, a partire dalla scuola dell'infanzia in poi, avviene in modo per lo piu' casuale, adottando come criteri di scelta la vicinanza a casa, la comodita', la corrispondenza di orario in base agli altri impegni familiari, e cosi' via. e' allora proprio su questo, forse, che si potrebbe iniziare ad incentrare una nuova attenzione dei genitori: su un'attenta selezione dei contesti a cui esporre i propri figli, in quanto saranno proprio questi i luoghi da cui i bambini prima,e i ragazzi poi, attingeranno le loro amicizie, che li accompagneranno nella crescita, e li guideranno a sviluppare alcuni sogni piuttosto che altri, e dunque li aiuteranno a scegliere quale via percorrere, tra le piu' svariate, future strade della vita. Per riuscire a fare cio', i due genitori dovranno riuscire a garantire al figlio uno spazio familiare sereno, capace di orientare le proprie energie, altrimenti spese nel conflitto, su un ruolo attivo nelle scelte dei vari contesti di vita sociale. (vedi articolo E' tutta colpa di mamma e papa'?).

In tutto cio', chi e' il colpevole?
La dipendenza da droghe come malattia sociale

Chiedersi CHI sia il colpevole presuppone che questo debba essere una persona. In realta' colpevoli possiamo ritenerci tutti, tutti quanti insieme, in quanto fautori della SOCIETA' in cui viviamo. Perche' tutti quanti partecipiamo ad una societa' in cui la dipendenza, sia essa da droghe, da gioco d'azzardo, dipendenza affettiva o da acool, dilaga.
Dilaga perche' altrettanto dilagante sono il SENSO DI SOLITUDINE, ed il senso di SCOLLEGAMENTO TRA LE PERSONE. E' come se fossimo tutti isole in mezzo ad un oceano sconfinato, dove a regnare diventano l'individualismo e la superficialita' delle relazioni.
E in tutto cio' non esiste UN colpevole. Tutti noi, tutti quanti insieme contribuiamo a cio', con le ingiustizie della nostra societa' verso le quali non facciamo nulla di concreto per opporci, con il menefreghismo per chi avrebbe bisogno del nostro aiuto, con la negazione e mancanza di disponibilita' verso chi avrebbe bisogno di noi e del nostro calore.
Purtroppo la nostra mentalita' e' ancora cosi': finche' un problema non ci tocca nel vivo, tendiamo ad ignorarlo, come se non esistesse.
All'origine l'uomo era un essere sociale, che godeva della relazione coi suoi simili. Ora pare che il processo evolutivo stia tornando indietro: ci basta la nostra bella casa, la nostra auto e il nostro Smartphone per sentirci felici e soddisfatti. Ci bastano gli oggetti.
Ma cosi' facendo ci dimentichiamo dei nostri simili. Come si rintraccia in un articolo trovato online, tradotto in italiano da Stefano Petrelli "Lo scrittore George Monbiot definisce la nostra, "l'epoca della solitudine". Abbiamo creato società umane all'interno delle quali isolarsi da ogni legame è più facile che mai prima d'ora. Bruce Alexander (un ricercatore sul tema delle dipendenze) mi ha spiegato come per troppo tempo non abbiamo fatto altro che parlare della riabilitazione dell'individuo dalla dipendenza. Ciò di cui abbiamo bisogno di parlare oggi è la riabilitazione sociale - un modo per riabilitare noi tutti, insieme, dal male dell'isolamento che ci sta avvolgendo come una spessa coltre di nebbia. Ma queste nuove scoperte non rappresentano esclusivamente una sfida politica. Non devono essere solo le nostre menti a imporci di cambiare. Ma i nostri cuori."
Detto cio', scritto con l'intento di suscitare in voi lettori una riflessione critica capace di andare al di la' del pregiudizio legato al tema della droga e della tossicodipendenza, ora un doveroso commento anche rivolto ai genitori dei ragazzi.
I genitori, sicuramente, in quanto riferimento principale dei propri figli, hanno un grande compito ed una grande responsabilita': quello di rendersi disponibili al dialogo e di sorvegliare sulle condotte dei loro figli. Ma a volte questo puo' non essere sufficiente, perche' in eta' adolescenziale il ragazzo entra a contatto con svariati contesti, e da tutti ne viene infuenzato e attinge (vedi articolo E' tutta colpa di mamma e papa'?). Compito fondamentale dei genitori diventa allora quello di PREVENIRE. Come? Aiutando i figli, ancora bambini, a dialogare, a stringere amicizie "pulite", e sviluppare passioni e interessi per attivita' sane, capaci di indirizzare i loro interessi in modo appassionante, preservandoli cosi' da quella sensazione di noia cosi' tanto frequente tra gli adolescenti d'oggi.

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